Vita da famiglia ospitante
A settembre Arturo, un exchange student messicano, è entrato a far parte della nostra numerosa famiglia. Questa esperienza ci ha insegnato a essere ancora più uniti e che ogni incontro è un buon motivo per festeggiare
A settembre Arturo, un exchange student messicano, è entrato a far parte della nostra numerosa famiglia. Per me, mia moglie, i nostri tre figli e il nostro cane Buc è stata un’esperienza unica, ci ha insegnato a essere ancora più uniti e che ogni incontro è un buon motivo per festeggiare
Messico! Il paese del nostro viaggio di nozze, sole, rovine Maya, cordialità e musica spensierata! Però un altro figlio?! Ne abbiamo già tre, di cui due adolescenti e una che vive già da sola – per modo di dire – una nonna sempre presente e pure un cane…
“Viene voglia di abbracciarlo” mi scrive mia moglie dopo averlo casualmente conosciuto a scuola, quello stesso liceo che Arturo frequenterà e dove lei insegna matematica. So che la decisione è già stata presa. E così dopo due giorni Arturo è entrato nella nostra casa e nella nostra famiglia.
Però oggi riconosco che non c’è frase migliore per descriverlo: un ragazzo che ti accoglie con gli occhi, fiero ed empatico, con una grande voglia di conoscere l’Italia e la nostra cultura. Noi ci presentiamo per quello che siamo: una normalissima famiglia – forse un po’ articolata – con una casa sempre piena di gente, tra i nostri amici e gli amici dei figli, nonna Lilli e nipoti vari.
“Il nostro legame cresce giorno dopo giorno nutrendosi di messaggi, telefonate, confidenze, storie di vita, chiacchierate in macchina durante gli inevitabili spostamenti casa-scuola-sport”
Pian piano cerchiamo di amalgamarci, soprattutto a tavola, durante i grandi pranzi e cene in cui ci ritroviamo sempre tra lasagne e vassoi di verdure gratinate. Ci raccontiamo la giornata di ciascuno, con Buc tra le gambe che spera che arrivi un boccone anche per lui.
Credo cha abbia fatto fatica a starci dietro all’inizio: a Claudia, la responsabile YFU per le Marche, riferisce ridendo che siamo la famiglia italiana più messicana che abbia mai pensato di incontrare. Dalla tavola parte la scoperta della nostra regione, le Marche, forse ancora poco conosciuta agli stessi italiani, completamente sconosciuta a lui e alla sua famiglia. Io, agronomo della Regione Marche, gli racconto le nostre eccellenze: dal vino ai formaggi passando per il ciauscolo, i salumi, il miele, le zuppe di pesce e le ciambelle al mosto. Con meraviglia gli parlo delle grandi differenze culturali e linguistiche racchiuse in un territorio molto piccolo se rapportato all’immensità del suo paese. Siamo la regione dei mille borghi dove tutto cambia in una manciata di chilometri. Tra noi due nasce una grande affinità, lo porto spesso tra le nostre colline, assieme al mio collega lo faccio partecipare alla più grande rassegna zootecnica della regione che premia bovine di razza marchigiana, lo faccio partecipare a una compravendita di cavalle del Catria. Arturo è capace di entrare in contatto con tutti, assapora ogni stretta di mano, ogni abbraccio, che sia di un rude allevatore montanaro o della badante ucraina di nonna Lilli.
Con nostra paura continua il suo sport preferito, il rugby. Io e mia moglie tremiamo, ma ci lasciamo andare e ci affidiamo. Del resto anche nostro figlio Tommaso fa uno sport non proprio delicato, la pallanuoto, quindi perché impedirglielo?! Il nostro legame cresce giorno dopo giorno nutrendosi di messaggi, telefonate, confidenze, storie di vita, chiacchierate in macchina durante gli inevitabili spostamenti casa-scuola-sport. Con i figli inizia un normale rapporto tra fratelli, ognuno con le proprie amicizie, con le dispute su chi deve portare fuori Buc, alleandosi per spuntare un’uscita in più. Arturo diventa prezioso per Elisabetta, la piccola quattordicenne di casa con la fretta di crescere, traducendo per lei tutti i testi di reggaeton possibili ed immaginabili. Nascono anche piccole gelosie come è naturale che sia, ma tutto viene superato parlando e discutendo, magari sempre a tavola di fronte ad una bella fetta di crostata.
Durante la sua settimana di scambio a Palermo temiamo che preferisca l’altra famiglia siciliana dal proverbiale calore rispetto a noi marchigiani, considerati spesso chiusi e freddini. Ci siamo preparati al contrattacco sfoderando i migliori piatti della nostra cucina tradizionale: agli arancini abbiamo risposto con le olive all’ascolana, insomma. Arturo ridendo ci rassicurava: “Ormai è Ancona la mia casa in Italia!”. Ne eravamo felici.
“L’amore non è mai a tempo determinato, una volta stabilito il legame lui sarà per sempre il nostro figlio messicano”
Ecco ora siamo già alla fine di questo programma, ci prepariamo a questo distacco che, inutile nasconderlo, peserà su tutti. Lo supereremo con la consapevolezza del grande cambiamento avvenuto in tutti gli attori di questo progetto: credo che ad Arturo abbia insegnato ancor più ad amare la sua terra, riuscirà a vederla con altri occhi apprezzandola ancora di più, sarà quel poco di italianità o meglio di marchigianità a insegnarglielo.
Alla nostra famiglia Arturo ha insegnato a essere ancora più uniti e ad aver voglia di fare festa sempre, a ogni incontro. Del resto, anche grazie ad altre nostre esperienze come famiglia affidataria e ospitante, abbiamo imparato che l’amore non è mai a tempo determinato, una volta stabilito il legame, lui sarà per sempre il nostro figlio messicano che porterà un po’ di noi nella sua sterminata città e noi saremo sempre la sua famiglia italiana, pronta in ogni momento ad accoglierlo facendogli festa, perché ormai sappiamo molto di lui. Conosciamo il suo frutto preferito, quale musica ascolta, il nome della sua ragazza e delle nonne, così come lui di noi. E ci siamo fatti anche grandi promesse su cose fondamentali legate alle nostre reciproche culture: lui non prenderà più la pizza Hawaii , quell’orribile mistificazione a base di cotto e ananas sulla pizza, e noi i burritos pseudo messicani serviti nei nostri fintissimi ristoranti messicani.
E aspetteremo sempre il giorno in cui ci incontreremo di nuovo, così che un giorno normale diventi una grandissima festa, come un Natale fuori stagione.